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Il Carnevale Castelveterese – Nino Lanzetta

Written By: Redazione

COME NASCONO I CARRI ALLEGORICI E I BALLETTI. IL CANTIERE. LA SFILATA DI CASTELVETERE E LA “MASCHIARATA”  DI MONTEMARANO

LE ORIGINI : due paesi vicini

E’ tempo di carnevale, cioè di dire addio alla carne (carnem vale!). Arriva la Quaresima, tempo di penitenza in preparazione della Pasqua. Pertanto, prima della ulteriore penitenza  imposta dalla Chiesa (come se la carne, nella civiltà contadina, si mangiasse ogni giorno!) ed in previsione dei lavori dei campi che  sarebbero ricominciati con la primavera, è il caso di divertirsi un po’ e di lasciarsi andare, a dispetto dei divieti canonici. La vendemmia è andata bene, il vino è nelle botti, invitante e sincero, il maiale è stato ammazzato e la carne è invitante ed a portata di mano, fino  a quando non se ne farà salsicce e soppressate. Poi fa freddo e fuori c’è la neve e fa bene riscaldarsi con un po’ di movimento e di sana baldoria. I preti chiudono un occhio perché anche loro sanno che il corpo vuole la sua parte e che, passata la sfuriata, ritorneranno mansueti all’ovile. Quindi “ suoni e abballi” fino alla Quaresima, poi ritorno al focolare domestico a sopportare i musi e le occhiatacce delle mogli tradite almeno nel pensiero, a confessarsi e la domenica a Messa. Così è nato il carnevale nelle nostre zone d’Irpinia: portando in pubblico, magari esasperandoli, i pensieri nascosti, perfino un po’ impudichi e licenziosi che la fiera dignità del contadino reprimeva nelle mura domestiche. Le voglie, i desideri, i pettegolezzi, gli inciuci, il desiderio della bella vicina, magari sposata e provocante, l’invidia per i più fortunati, il sogno di una “sistemazione” con un buon matrimono per la figlia, spesso senza dote. Il lasciarsi andare, almeno per una volta, all’ebbrezza e al canto, con il vino e la musica. Così è nata la Zeza, l’Intrecciata, la mascariata e gli  altri molti modi di manifestare l’evasione. Il divertimento, la licenziosità.

Da noi a Castelvetere il carnevale ha gli stessi prodromi, le stesse origini, lo stesso significato. Si racconta che la prima manifestazione sia nata nel 1863, alla fine della grande peste che aveva decimata la popolazione del borgo che era sorto, con le decine di casupole appollaiate sullo sperone della Ripa, attorno al Castello longobardo. Ad un tiro di schioppo dal Borgo c’era Montemarano, un paese più grande e popoloso, addirittura sede di diocesi, separato da una piccola vallata che si faceva a piedi in meno di mezz’ora.  I suoi abitanti avevano carnevale nell’animo; erano più viscerali e passionali e davano  libero sfogo agli istinti a lungo repressi, con omeriche mangiate, con “abballi e i suoni”, ammiccamenti e corteggiamenti sfrontati. Il loro carnevale era un retaggio di origini fescinnine che si esprimeva con genuina veemenza secondo una tradizione silvo-pastorale, saltando e ballando, fino allo sfinimento fisico al suono martellante e rutilante fino allo spasimo dell’organetto, delle nacchere, dei tamburelli e del clarino in una perenne tarantella edizione rivisitata alla maniera dei rudi popolani del posto che della copia napoletana aveva conservato appena il filo conduttore.

 

I CARNEVALI DI CASTELVETERE E DI MONTEMARANO

Anche se i due paesi sono così vicini e quasi attaccati e quanto succede nelle due piazze è di conoscenza reciproca, i due popoli hanno natura, caratteri  e accenti  diversi e la mescolanza dei tanti matrimoni misti non ne ha alterato le caratteristiche innate, i due carnevali hanno origini e comportamenti diversi. Sfrenato, licenzioso, senza regole o inibizioni, autentico, spontaneo e  disordinato quello di Montemarano; più contenuto, meno peccaminoso, più satirico e tranquillo quello di Castelvetere, senza  confondersi, senza “copiare,  quello dei vicini anche per uno strano e atavico senso  di antica rivalità. Nel tempo, poi, quello di Montemarano è rimasto identico agli anni delle origini, volendo giustamente tramandarne lo spirito e la ritualità. Quello di Castelvetere, invece, che era nato anche come sfida e competizione fatta di sfottò e di caricature tra gli abitanti di due rioni del paese: la piazza e la Pianura, successivamente battezzata Via Roma, dopo l’unificazione d’Italia quando il paese era cresciuto ed il “prato”, perché vi cresceva l’erba, era stato risucchiato da più moderni fabbricati. Da allora e fino agli anni settanta del secolo scorso il carnevale fu quello della Piazza e di via Roma. Nel dopoguerra nacquero i primi carri allegorici e si cominciarono a formare i primi gruppi di ragazzi e ragazze che ballavano la tarantella e successivamente altri ritmi e balli prima mutuati dalle aie e poi dai dischi, dalla radio e dalla televisione. Si cantavano canzoni  popolari, stornelli ironici inventati dalla fantasia popolare che con grandi sfottò, prendevano in giro personaggi in vista, della cronaca e della politica dell’altro rione : il podestà, il maestro elementare, il medico, il signorotto.

I primi grandi carnevali della nuova edizione Piazza- via Roma che si ricordano furono quelli del primo dopoguerra. La piazza comprendeva il vecchio centro storico, dalla Ripa fino allo “stretto” che costituiva la linea di confine da dove cominciava il regno di via Roma. Le campagne ( Tremauriello, la Cipollara, San Gregorio, Santa Lucia ), che allora erano molto abitate, partecipavano o con l’una fazione o con l’altra ma spesso facevano storia a sé non volendo confondersi con i due contendenti. I loro carri, che erano per lo più confezionati con ginestre, rami, foglie e fiori, erano ispirati alla vita dei campi ed oggi avrebbero fatto la felicità degli amanti della natura. Ancora oggi, quando qualche carro si richiama alla civiltà contadina è molto apprezzato e applaudito. Di quei carnevali si ricordano ancora  con nostalgia l’immenso elefante, il cavallo alato nel mentre spicca un salto, una grande testa, simile a quella raffigurante Mussolini che si vede in Amarcod di Fellini, ( come se l’avesse copiata dai poveri artigiani castelveteresi) che a stento passavano per lo stretto. E poi tante maschere singole ispirate ai vari personaggi  della politica, dello spettacolo, in voga nel tempo: perfino De Gasperi, Nenni, Sabin del famoso vaccino e un Mercurio, quello della Settimana Incom tutto nudo e dipinto color oro, ubriaco per le bottiglie di Vecchia Romagna bevute perché a terra c’era un metro di neve. Quella dei carri allegorici, che hanno finito per prevalere sulle maschere singole, è stata poi la caratteristica che ha contraddistinto il carnevale castelveterese dei primi anni settanta e che  lo ha reso famoso in tutta la regione perché per anni  l’unico del genere in Campania.

Nel frattempo la fattura dei carri si è affinata, anche se gli artigiani, specie i sarti e i falegnami, sono scomparsi del tutto in paese perché la tecnologia ha colmato molte lacune. Oggi i carri allegorici non si fanno più come li facevano gli artigiani di una volta, veri artisti che con il legno e la stoffa realizzavano veri capolavori della semplicità e dell’effetto.  Con il legno facevano la struttura che poi riempivano di paglia che sagomavano in involucri di tela di sacco o di lenzuola, che poi si recuperavano – senza dir nulla alle donne di casa – quando disfacevano i carri per riutilizzare la paglia, la tela, le lenzuola e il legno. Si usava poco la carta, giusto quanto bastava per pitturarci sopra, anche perché se ne trovava poco in quanto in paese si leggeva appena qualche giornale.

IL CANTIERE

Oggi è tutt’altra cosa. I carri si fanno nella grande palestra comunale tutti insieme, utilizzando gli stessi utensili, senza rivalità e attingendo al fondo comune, non come prima in segreto e in luoghi non accessibili al pubblico: quelli della Piazza negli ampi locali del Barone e quelli di via Roma in spaziosi  terranei. Agli artigiani si sono sostituiti giovani e giovanissimi, studenti, impiegati e lavoratori che, sotto la guida di chi ha un po’ di esperienza e valentia, si danno da fare come possono. Se c’è qualche fabbro l’esito è garantito perché le strutture dei carri si fanno con il ferro cotto, facilmente lavorabile i tubolari e il cannello ossidrico. Attorno allo scheletro della struttura che si vuol realizzare: un cavallo, una figura umana, una grande testa, si avvolge una sottilissima rete metallica sagomandola alla forma. Su di essa si cuce una tela di iuta e su di questa, infine, si incolla la carta di giornale tagliata a pezzettini, a volte anche piccolissimi, per coprire conformemente le cavità, le curve e i particolari. E’ un lavoro paziente e di rifinitura perché è l’apposizione della carta a delineare la figura in tutti i suoi dettagli e rifiniture. Poi si dà una prima mano di vernice bianca per avere una visione uniforme e correggere qualche errore ed, infine, si passa a dare i colori appropriati, che si rendono alla fine più lucidi con la vernice flatting. I balletti, invece, vengono provati di sera ogni gruppo per sé e i costumi vengono realizzati o dalle sarte o da parenti che sanno un po’ di cucito secondo un campione comune, utilizzando lo stesso tipo di stoffe e accessori.

Parte importante è quanto c’è dietro e a monte della sfilata, che comprende non solo i carri allegorici ma anche gruppi musicali i celebri “balletti” che si accompagnano ai carri spesso creando e sviluppando un unico tema. In questo caso i carri vengono detti di appoggio al balletto e ne assicurano il motivo conduttore. L’ideazione spesso nasce improvvisa: da un ritaglio di  giornale, da un disegno, dalla cronaca e dalla moda del momento. Quest’anno, infatti, non mancherà un balletto ispirato alla maialina Peppa e i carri, invece, faranno incetta di Grillo, Napolitano, Berlusconi che si riprenderà dai magazzini dove sembrava finito, e degli immancabili La Russa e delle bellocce approdate in politica. Quest’anno i carri allegorici saranno cinque più due di appoggio ai balletti. Uno sarà dedicato ad un artigiano prematuramente scomparso, mast’Andrea Follo che era stato un protagonista degli anni precedenti e del quale è stata riesumata un enorme testone di Grillo. Un altro mette insieme Napolitano con Griilo che affoga e Berlusconi e Renzi che cercano di salvarlo tirandolo per le mutande, forse con riferimento alla legge elettorale attualmente alla Camera. Per i bambini un altro balletto è ispirato ai Looney Tunes, cartoni animati, e ambientato nel West dei cow boy. Ci sarà il solito numeroso gruppo dei giovani che quest’anno ballerà al suono della musica hawaiana.

La sfilata si terrà in 2 ed il 4 di marzo con inizio alle 14,30. Il 9 marzo si ripeterà il rito del carnevale morto. Quest’anno si sarà anche una mostra di costumi e di fotografie delle vecchie edizioni.

E’ doveroso menzionare e ringraziare coloro che con entusiasmo e passione fanno un lavoro, a volte ingrato e non riconosciuto e senza alcuna retribuzione, utilizzando il tempo libero e trascurando lo studio e la loro attività, talvolta, anche fatti oggetto di critiche ingiuste. Questi giovani, con il loro gran da fare, rendono possibile lo svolgimento della manifestazione, assicurandone la riuscita e regalando un po’ di salutare divertimento a chi ne ha voglia e, nel contempo, contribuiscono a consolidare una tradizione che ha reso Castelvetere famoso nella regione. Grazie alla dinamica Presidentessa della Pro Loco, sig.ra Emanuela Follo la sfilata dei carri si farà anche quest’anno. Un grazie a tutti i suoi collaboratori a cominciare dal marito Gerardo Pescatore che è il

responsabile del cantiere ed il factotum di tutte le operazioni e a tutti i giovani che lo affiancano: Alfredo De Cola, Roberto Limone, Antonio Meriano, Valentino Picariello, Diego D’Agostino, Giuseppe Leggiero, Tony De Vito, Mario Matteis, Gianluca Follo, Salvatore Moccia e, per la cura dei balletti: Maria Gerarda Faia, Maria Virginia Caporale, Roberta Bimonte, Patrizia Mongiello, Simona Moccia, Aliasi Vincenzo. Aprirà la sfilata il solito e apprezzato gruppo della Tarantella che ballerà al ritmo delle nacchere, dei tamburelli e dell’organetto, mente i balletti si esibiranno al suono della musica country e latino-americana.

Il carnevale di Castelvetere è il primo nel suo genere ad imporsi nella regione e solo da pochi anni si è aggiunto quello paternese che ne ha duplicato la formula. E’ cosa diversa e originale rispetto alla Zeza di Mercogliano, di Monteforte e di altri paesi irpini, dell’Intrecciata di Montoro o di Serino e della mascariata di Torella e dei paesi dell’alta Irpinia. E’ cosa diversa

anche dalla più famosa e tradizionale “maschiarata” della vicina Montemarano, antagonista da sempre. La sfilata dei carri allegorici e l’esibizione dei “balletti” riscuote sempre grande successo e migliaia di visitatori ne apprezzano la qualità dei carri, la bellezza dei costumi e l’abilità e lo stile dei ballerini. E’ trasmessa da molte televisioni anche nazionali e si è conquistata la sua icona nella storia dei carnevali italiani della stessa formula e, nel suo piccolo, non ha nulla da invidiare ai carnevali di Viareggio, di Cento di Putignano.  In tutti questi anni, però, non ha mai fatto il salto di qualità a livello organizzativo e di sfruttamento completo

dell’immagine anche ordine di rientro finanziario, che ripagasse tanti sforzi e sacrifici.  A differenza di quanto avviene in altre località, manca un efficiente Comitato di Amministrazione, una struttura fissa impegnata tutto l‘anno, un gruppo di organizzatori che ne assicurasse i mezzi finanziari, l’organizzazione logistica; che sapessero sfruttare l’occasione del nome e del logo del paese in termini di ritorno economico. Una manifestazione che si tiene in piedi per esclusiva abnegazione della pro loco e di pochi altri volontari, lasciati a se stessi, senza mezzi finanziari e che si esaurisce in poche ore, dopo di che le strade del paese ritornano deserte.

Vengono fuori, ancora una volta, tutti i difetti che stanno determinando il declino del Paese: un dannato senso dell’individualismo e del protagonismo per cui non si riesce mai a fare squadra e ad organizzarsi. La Pro Loco non può essere lasciata a se stessa ma anch’essa deve capire che non può fare da sola e darsi da fare per favorire – non nel mese che precede il carnevale, ma in quelli estivi- la collaborazione di tutti coloro, a cominciare dall’Amministrazione Comunale per finire all’Associazione culturale “La Ripa” e all’Albergo Diffuso “Il borgo” che, poi, traggono la maggiore utilità, una stretta collaborazione in ordine allo svolgimento delle varie manifestazioni connesse all’avvenimento principale che è quello della sfilata. Non è concepibile che migliaia di ore lavorative possano svanire in un paio d’ore di sfilata senza un minimo ritorno economico e di sfruttamento dell’evento.  Eppure non ci vuole molta inventiva a predisporre stand di vendita di bevande e panini, ricordini del carnevale e prodotti tipici del luogo; allungare i tempi delle sfilate magari facendole cominciare dalla mattina, invogliando i visitatori a servirsi dei ristoranti del paese e dei suoi esercizi; organizzare e razionalizzare, anche con un piccolo ticket, i parcheggi e le altre strutture del paese; programmare balli, cene, seminari e conferenze, lotterie, balli in maschera, ripagando così anche chi si impegna con tanti sacrifici personali. Questi ragazzi non dovrebbero essere lasciati soli. E’ tempo che coloro che possono diano una mano. Innanzitutto per il buon nome del paese al quale, spesso a chiacchiere, tutti dicono di tenere. Animo ragazzi, non demordete! Il futuro è vostro anche se non si annuncia molto felice. Sta soprattutto a voi cercare di cambiarlo!

 

One Comment

  1. rosagiuli ha detto:

    ricordo, con tanta nostalgia il .carnevale .io tifavo per la piazza, fra un po’ avrete una nuova amministrazione cercate di portare la vs voce in essa e non perdete la forza, il coraggio il Paese e’ parte di voi, difendete tutta la vostra storia, io ho trascorso parte della mia vita a Castelvetere, alla Ripa, non potete immaginare, quanta nostalgia e dolore ho nel cuore per le scelte fatte da vecchi amministratori, il non poter piu’ ritornare da padrona nella casa dove sono nata, oggi dovrei tornare come turista e pagare per poter respirare l’aria di casa mia, vi saluto con affetto

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