“Voglio dire che tutto ha inizio, sempre da uno stimolo emotivo: reazione a una ingiustizia, sdegno per l’ipocrisia mia ed altrui, solidarietà e simpatia umana per una persona o un gruppo di persone, ribellione contro leggi superate e anacronistiche con il mondo di oggi.”

 

Con queste semplici parole Eduardo De Filippo spiegava l’incredibile scopo di protesta sociale che assume il teatro, al pari di qualsiasi corteo o movimento rivoluzionario, in un contesto che lascia spazio soltanto ad ingiustizie e frivolezze. Se è vero che la tendenza dei poteri moderni è quella di estirpare ogni singolo fiore volto ad un’opera di alfabetizzazione umanitaria (perché in fondo è questo il teatro), allora nasce l’esigenza di far emergere lo stimolo emotivo di cui parlava De Filippo; ma questo non a scopo di condanna, bensì con una funzione di crescita sociale e soprattutto personale, contro un sistema che ci desidera imparziali nell’indifferenza generale. E per farlo, che cosa se non una simpatica commedia di Edoardo Scarpetta, con libero riadattamento di Eduardo De Filippo? È esattamente ciò che abbiamo deciso di fare venerdì 28 luglio, mettendo in scena, in seguito agli scorsi successi, “O’ Scarfalietto”, commedia in tre atti. Essa ha ricevuto l’apprezzamento da parte della maggioranza del pubblico, ma occorre comunque ricordare che abbiamo vinto con significante determinazione il solo mese di tempo che avevamo a disposizione e che, come ognuno può immaginare, non augura certamente la buona riuscita di una qualsiasi rappresentazione teatrale. Ebbene siamo andati in scena: d’altra parte cos’è la mancanza di tempo di fronte alla buona volontà di quindici giovani? Si tratta di due grandezze inversamente proporzionali: il tempo e la volontà. Dunque, il poco tempo non conta molto se questi giovani applicano la loro forza di volontà anche allo scopo di riappropriarsi di spazi pubblici rimasti troppo a lungo inutilizzati e, meglio ancora, se lo fanno per una giusta causa: dimostrare a una generazione ormai avvezza all’uso degli smartphone e troppo superficiale per rinunciare alla sbornia anche per una sola serata o all’happy hour davanti ad un bar,  il valore della recitazione propedeutico alla vita. È ragionevole paragonare il teatro al metodo socratico della maieutica (μαιευτική τέχνη), ossia l’estrazione della verità dell’allievo da parte del maestro, in modo analogo alla tecnica della levatrice. Anche il teatro, come la maieutica, è la ricerca della realtà interiore e la lettura dell’animo. Con la recitazione diventiamo “levatrici” di noi stessi per leggere il nostro spirito e partorire la verità che ci appartiene. Ma non si tratta solo di questo; la ricerca della verità ha un doppio vantaggio: non solo aiuta noi “attori”, ma è anche un ausilio per gli spettatori che si trovano di fronte al palcoscenico per essere compresi a fondo. Sebbene il teatro non si avvalga sempre di dialoghi con il pubblico, l’attore diventa per un po’ il maestro che era Socrate, per aiutare gli altri nella ricerca della verità.

Sarebbe utile risalire alle origini del teatro per far comprendere ai lettori quanto oggi esso sia stato svuotato in parte del suo significato e come sia deludente accorgersi che, in alcuni casi, abbiamo la sola persistenza del suo significante, ossia l’aspetto formale, privo di reale sostanza. Il teatro, nell’antica Grecia, era commissionato dalla πόλις e, pur essendo un evento popolare, era partecipato dall’intera comunità, poiché assumeva i connotati di un rito sacro. Esso era vissuto come un momento di riflessione anche sull’esistenza umana nel suo aspetto più spirituale. Cosa che, invece, non si può sempre riscontrare nei teatri odierni. Nonostante il teatro antico, come già detto in precedenza, fosse un evento di tutta la cittadinanza, è giusto pensare, forse con eccessiva criticità che, ai giorni nostri, dovrebbe essere, in un certo senso, più elitario. Ma questo non vuol dire assolutamente che debba essere riservato alla ristretta cerchia dei cittadini più in vista. Non ci sarebbe niente di più sbagliato! L’unico limite che dovrebbe avere la partecipazione a una rappresentazione teatrale è una particolare sensibilità per la vita e una passione incondizionata verso il teatro. Altrimenti l’esperienza educativa risulta vana a causa di un pubblico che vive il teatro solo come evasione dalla vita quotidiana, in modo disinteressato, finendo per creare impedimento alle persone che realmente credono in ciò a cui stanno assistendo. Il pubblico ideale non si distingue per la condizione sociale, ma è un’élite di persone pronte ad utilizzare il teatro nell’hic et nunc, come strumento di purificazione per un’esistenza migliore. È, infatti, questa la vera forza del teatro, la forza compresa sin dal passato dagli antichi drammaturghi, o più recentemente da Scarpetta o De Filippo, quella che ancora oggi offre ispirazione a numerosi registi e autori.

 

Grazia Moccia